Antropologia alimentare streghe e donne d’erbe

Antropologia alimentare streghe e donne d’erbe
di Ninni Raimondi

Le erbe hanno sempre avuto un rapporto molto stretto più con le donne che con gli uomini. Anche se nelle comunità religiose erano i frati a conoscere bene i prodotti spontanei di madre natura, all’interno delle comunità agricole e pastorali erano le donne che aveva il compito di cercarli e raccoglierli.

La cucina delle erbe, improntata soprattutto sui prodotti stagionali, costituiva l’unico alimento-medicamento per le classi povere, che perciò attribuivano alle donne d’erbe un ruolo privilegiato.

Durante il ‘300, l’insicurezza collettiva suscitata da carestie, peste e rivolte, provocò una vera e propria lotta contro la stregoneria, il “capro espiatorio” a cui si attribuiva l’origine di ogni male. Furono classificate come streghe le moltissime donne che conoscendo le “virtutes herbarum” (raccogliere erbe giuste nei periodi più idonei in modo da non vanificarne le potenzialità), chiave d’accesso ad un mondo misterioso e perciò “demoniaco”.

Un regolamento sull’attività terapeutica e l’uso delle erbe venne sancito dal Concilio di Trento (metà ‘500), che con le “Costitutiones” bollò come superstizioni gran parte delle cure adottate dal popolo. Con questo metodo si creò una frattura tra la medicina popolare esercitata soprattutto dalle donne, e quella accademica esercitata soprattutto dagli uomini. Insomma, le donne d’erbe, furono trasformate nelle demoniache “streghe”, perché usurpavano un sapere che nobili e religiosi non volevano lasciarsi sfuggire.